mercoledì 20 ottobre 2010

La via della lana: Taranta Peligna

Merletti e ricami, arazzi e tappeti. L’arte del tessuto in Abruzzo passa anticamente per le mani operose ed abili delle donne. 

Da Scanno a Pescocostanzo, per passare a Taranta Peligna, Castel di Sangro, Fara San Martino, Lanciano, Bucchianico, Sulmona, Castel del Monte, Pietracamela, Nereto, Penne, e farsi apprezzare anche fuori dei confini regionali. 

coperta 2 La tradizione tessile abruzzese è legata fondamentalmente alla pastorizia che nel passato, durante il periodo della transumanza, - quando cioè avveniva la migrazione stagionale del bestiame dai pascoli di pianura a quelli di montagna e viceversa - obbligava gli uomini a stare per un lungo periodo fuori casa, e così le mogli preparavano tutto ciò che occorreva ai loro mariti, dagli abiti alle coperte di lana. E’ il caso delle famose "tarante", le pesanti e colorate coperte di lana senza "dritto" nè "rovescio", tessute a mano dagli artigiani di Taranta Peligna, paese montano situato a pochi chilometri dalla Grotta del Cavallone nel Parco Nazionale della Majella. Tradizione vuole che l’affermarsi dell’arte della lana nell’epoca medioevale, abbia determinato lo sviluppo di Taranta Peligna, centro situato nei pressi del tratturo Magno, non molto distante dalla Via della Lana che univa, attraverso l’Appennino centrale, le città di Firenze e Napoli. Questo paese sin dal XI secolo si affermò come fiorente centro tessile e commerciale.coperta 3

Infatti, a Taranta Peligna fin dal tardo medioevo si ha notizia della presenza di lanifici, che negli anni 60 del novecento giungevano ad occupare fino a 150 persone, utilizzando la forza dell’Aventino per produrre energia e realizzare le pesanti coperte abruzzesi ornate di frange raffinate lavorate a mano da un altro centinaio di donne nelle proprie case. Storicamente, infatti, la manifattura tessile dei centri montani alle falde sud-orientali della Majella ruotava intorno alla figura dell’impreditore-mercante, che commerciava nelle fiere dell’Italia meridionale panni e filati di lana prodotti negli stabilimenti a Palena, Lama dei Peligni, Taranta Peligna, Fara San Martino e Torricella Peligna, affidando a domicilio la produzione dei semilavorati.coperte
Della remota origine di quest’arte abbiamo testimonianza anche dal culto di San Biagio, protettore dei lanaioli proprio perché martirizzato con l’attrezzo per cardare la lana, a cui era dedicata una chiesa tardo romanica, i cui ruderi si conservano nella parte più antica di Taranta Peligna. Un culto che ha radici secolari e tuttora vivo. Alle falde della Majella, ancora oggi i maestri artigiani della lavorazione della lana sono i principali promotori della festa folcloristica e religiosa in onore del Santo. Santo di area pastorale, S. Biagio sarebbe nato e vissuto in Armenia e non è un caso che anche i pani votivi del 3 febbraio (oltre i disegni e i simboli raffigurati sulle coperte e tovaglie di produzione locale) trovino ispirazione nell’antica civiltà orientale.

Sulla facciata della chiesa si leggono i segni della storia del paese che si riconosce nell’effige del ragno tessitore, la tarantola. E questa è anche la denominazione specifica di alcune particolari stoffe – soprattutto di lana rozza nera – prodotte qui fin dal ‘500 e rinomate in tutto il mondo. Oltre alle “tarante” o “tarantole”, lungo le rive dell’Aventino e del Verde si fabbricavano anche le più pregiate “ferrandine” di lana e seta ed altri filati per tappeti, arazzi e coperte. Qui erano infatti abbondanti le materie prime: la lana innanzitutto, ma anche il legname per attivare le caldaie delle tintorie, l’olio per la precardatura della lana, le erbe tintorie per colorare i tessuti. Ora la produzione, pur ridotta, è comunque attiva e consente di acquistare presso il punto vendita dell’unico stabilimento ancora aperto, gli ultimi pezzi della tradizionale coperta abruzzese, decorata con i tipici colori e disegni di ispirazione arabeggiante o religiosa. coperta 4 Quelle con gli angeli si usavano infatti per ornare le finestre e i balconi abruzzesi al passaggio delle processioni e dunque in omaggio al Santo Protettore che attraversava le strade di paese in spalla ai fedeli. Quelle con motivi floreali o geometrici ricordano gli scambi culturali con le tessitrici di Pescocostanzo, dove nel seicento i turchi esportarono l’arte del tappeto mediorientale. I lanifici, oggi in odore di archeologia industriale, sorgono fuori dall’abitato di Taranta Peligna nei pressi del parco fluviale di dannunziana memoria, le Acque Vive, dove polle sorgive dissetano la ricca vegetazione in un ambiente suggestivo e riposante. L’acqua purissima era peraltro un requisito fondamentale nel processo di colorazione della lana, che doveva bollire a lungo in grandi caldai, insieme al mordente (sostanza che fissa il colore) e alle piante tintorie, spontanee come l’olmo, la reseda, l’orniello, oppure coltivate, come la robbia (nota per il rosso delle radici) e il guado (i cui pigmenti azzurri, presenti nelle foglie, furono utilizzati per colorare le giubbe dei giacobini francesi).

venerdì 8 ottobre 2010

pescasseroli, nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo

Pescasseroli, centro storico Pescasseroli è la capitale storica del Parco Nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise. E' adagiata in una conca all'ingresso dell'Alta Valle del Sangro a m. 1167 sul livello del mare. Questo altopiano ricco di pascoli è circondato da boschi centenari e montagne suggestive. Pescasseroli è un paese in cui è evidente la simbiosi tra natura ed architettura: il centro abitato è in perfetta armonia con le meraviglie naturali che lo circondano. Il nucleo urbano, in posizione pianeggiante, si è sviluppato attorno all'antica abbazia ed è caratterizzato da tradizionali costruzioni in muratura di pietrame e malta, adornate dalle particolari finestre con imbotti in pietra da taglio locale, denominata "pietra gentile" dal nome dell'omonima montagna. La piazza S.Antonio, così chiamata per la presenza di una chiesa oggi scomparsa, è il fulcro della vita di Pescasseroli: è colorata dai faggi e profumata dai piccoli fiori dei tigli ed è ornata, oltre che dalla sede del Comune, da una graziosa fontana, sormontata da una statuetta dell'Immacolata.Pescasseroli, centro storico

l nome Pescasseroli sembra derivare da "Pesculum Serulae", cioè roccia sorgente a picco (dal tardo latino "pensulum"), o masso che serra; secondo Benedetto Croce, "Pesculum ad Sorolum", cioè masso presso il piccolo Sangro (le sorgenti). La parte più antica dell'abitato sorge ai piedi dello sperone roccioso «pesco», su cui si trovano i resti di «Castel Mancino». Nella leggenda marsicana il poeta pastore Cesidio Gentile fa derivare la fondazione di Pescasseroli dalla vicenda drammatica di un giovane cavaliere crociato, Serolo, figlio del Conte Maracino, signore del castello. Serolo, partecipando alla I Crociata, incontra in Palestina la bella saracena Pesca, della quale si innamora e che sposa. In compagnia di un santo anacoreta, che aveva con sè la statuina lignea della Madonna nera, Pesca viene mandata da Serolo al castello. Pescasseroli ruderi mancino Una volta al castello, il vecchio Conte si invaghisce, non ricambiato, di Pesca che, fuggendogli, viene raggiunta ed uccisa in prossimità di una sorgente (quel posto è da allora chiamato «malafede»). Tornato dalla Crociata ed appresa la morte cruenta della sua sposa, Serolo muore di dolore. Sulla tomba dei due giovani sposi il vecchio Conte, in espiazione del delitto, fonda il paese che chiama Pescasseroli dall'unione dei due nomi.

USI E COSTUMI: E' un'antica usanza tostare e aromatizzare i ceci con la sabbia prima delle nozze. DONNE PESC Il costume tradizionale femminile di Pescasseroli, di istituzione relativamente recente, è tutto in nero, mentre quello antico era sfarzoso e vivace. Il costume nero fu introdotto nell'uso per una circostanza del tutto fortuita: si racconta che nel 1846 alcune donne di Pescasseroli che si recavano ad Ischia per delle cure termali furono oggetto, a Napoli, di curiosa e indiscreta attenzione. Le donne trovarono rifugio a Procida ove scambiarono i loro costumi con quelli delle donne locali. Tornate a Pescasseroli i nuovi costumi piacquero tanto da essere adottati da tutte le donne.

martedì 7 settembre 2010

L’AQUILA: LA PERDONANZA CELESTINIANA

La Perdonanza Celestiniana è un evento-storico-religioso che si tiene nella città di L’Aquila durante l'ultima settimana di agosto.Durante la settimana della Perdonanza Celestiniana L'Aquila si anima di spettacoli, concerti, mostre d'arte e di artigianato, rievocazioni storiche e di numerose altre iniziative culturali e di intrattenimento.

L'evento si svolge ormai da Papa Celestino oltre sette secoli, e cioè dall'agosto del 1294, quando fu incoronato Papa nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio il frate eremita Pietro Angeleri da Morrone con il nome di Celestino V.

Il nome Perdonanza si rifà al nome della Bolla Pontificia che Celestino V emanò dall'Aquila il 29 settembre 1294: la Bolla del Perdono. La Bolla di Celestino V concede un'indulgenza plenaria a chiunque, confessato e comunicato, entri nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio dai vespri del 28 agosto a quelli del 29.

Il 5 luglio 1294, dopo due anni di contrasti (successivi alla morte di papa Niccolò IV), il Conclave, riunito a Perugia,  designò il monaco Pietro Angeleri - fondatore di un ordine che per secoli ha avuto, per l'appunto, il nome dei Celestini - come Pontefice.Un corteo accompagnò il Papa da Sulmona all'Aquila, alla Basilica di Collemaggio, da lui stesso fatta erigere alcuni anni prima, e dove gli furono consegnate le vesti pontificali il 29 agosto1294, davanti a una folla immensa e, soprattutto, a re Carlo II d'Angiò e a suo figlio Carlo Martello.

Celestino V fu protagonista di un papato brevissimo: si dimise -uno dei tre casi nella storia dei Pontefici romani - nel dicembre dello stesso anno e morì nell'esilio di Fumone (in provincia di Frosinone) due anni dopo. Alcuni seguaci del suo ordine trafugarono successivamente le sue spoglie mortali e le portarono nella basilica dell'Aquila di Santa Maria di Collemaggio, dove tuttora riposano.collwmaggio

In quei pochi mesi di pontificato, Papa Celestino lasciò alla città dell'Aquila, ma anche al mondo intero, un'eredità di portata straordinaria. Alla fine di settembre del 1294, infatti, proprio dalla basilica di Collemaggio, emanò una Bolla con la quale concedeva un'indulgenza plenaria e universale a tutta l'umanità, senza distinzioni. Un evento eccezionale, visto che accadeva in un periodo in cui il perdono era spesso legato alla speculazione e denaro

 

tomba di Celestino

La Bolla di San Pietro Celestino, che introduceva i concetti di pace, solidarietà e riconciliazione, poneva solo due condizioni per ottenere il perdono. L'ingresso nella basilica di Collemaggio nell'arco di tempo compreso tra le sere del 28 e del 29 agosto di ogni anno ("dai vespri della vigilia della festività di S. Giovanni fino ai vespri immediatamente seguenti la festività"), e l'essere "veramente pentiti e confessati".Porta santa La tradizione popolare vuole che per ottenere l'indulgenza si debba attraversare una porta specifica detta Porta Santa, ed aperta solo in occasione della Perdonanza, ma la bolla chiede solo di entrare nella chiesa. D'altronde, tale porta non esisteva all'epoca di Celestino V.

Emanando la Bolla del Perdono, Celestino V stabilí quindi un precedente del Giubileo. La consuetudine di un periodico Anno Santo infatti, che Papa Bonifacio VIII avrebbe introdotto con cadenza secolare nel 1300, trova la sua prima formulazione a L’Aquila.

 corteo 

Gli aquilani hanno sempre sbandieratori custodito gelosamente la Bolla del Perdono, oggi conservata nella cappella blindata della Torre del Palazzo Comunale. Gli antichi statuti civici vollero che, proprio perché erano stati  i cittadini a proteggere il prezioso documento, fosse l'autorità civile a indire la Festa del Perdono, rispettando, comunque, il dettato di Papa Celestino. E ancora oggi è il sindaco dell'Aquila a leggere la Bolla del Pontefice, poco prima dell'apertura della Porta Santa della Basilica di Collemaggio da parte di un cardinale designato dalla Santa Sede.

Nel 1983, l'allora sindaco Tullio de Rubeis decise di rilanciare la Perdonanza. Alle manifestazioni religiose fu aggiunto un corteo storico (il Corteo della Bolla) per portare la bolla dal palazzo municipale (dove è conservata) fino alla Basilica, immediatamente prima dell'apertura della Porta Santa. Al corteo partecipano gli stendardi dei comuni legati alla figura di Celestino V nonché numerosi gruppi di rievocazione storica, come ad esempio il gruppo Sbandieratori città di L'Aquila.Da allora la Porta è sempre stata aperta da un cardinale.La settimana precedente è caratterizzata da feste, concerti, rassegne, convegni e mostre, proprio per il doppio carattere secolare e religioso della festa.Nel 2008 ad esempio l'ospite d'onore era Ela Gandhi, figlia del Mahatma Gandhi. Negli anni, queste manifestazioni sono state sempre più rifinite, grazie anche alla nascita di associazioni di ispirazione celestiniana.

Il 6 aprile 2009, L’Aquila ha subito uno dei piú devastanti terremoti che ha causato circa 300 vittime, oltre che migliaia di senzatetto. I maggiori danni hanno colpito il cuore della cittá con i suoi monumenti, chiese, palazzi. Anche la Basilica di Collemaggio ha avuto un crollo, ma le spoglie del Santo si sono salvate. 

BasilicadiCollemaggio_terremoto2009

  recupero Celestino

La reliquia si salvo' gia' nel terremoto disastroso del 1703. Quella volta venne giu' tutto il soffitto. Questa volta e' precipitata la volta. Ma il corpo non e' rovinato. E nemmeno la Porta Santa'.

sabato 21 agosto 2010

IL LACCIO D’AMORE DI PENNA SANT’ANDREA (TE)

Il Laccio d’amore affonda le sue origini nella preistoria, essendo, secondo gli studi piú attendibili, l’ultimo residuo di una piú vasta liturgia di riti agresti di venerazione delle divinitá arboree e di propiziazione della feconditá.

A  Penna Sant'Andrea  il   ballo  del  laccio è  rimasto  radicato  sino ad oggi assumendo la connotazione di danza tipica delle  feste  e  di  ballo  propiziatorio  dei  matrimoni  in  occasione  dei quali è tradizione  trarre  presagio  per   il  futuro   della  coppia   dalla  riuscita  dell' intreccio e  del  disintreccio  dei nastri.     

                              salterello                                     All 'inizio  del '900  si  è costituito l 'omonimo Gruppo Folkloristico che ha  fatto conoscere il ballo in tutta  Italia ed in numerose nazioni europee.   

 

Nella  versione  attuale  il  Laccio d' amore  si  compone  di  vari balli, tutti accompagnati dal suono del   ddu  bbotte,   tipico  organetto  abruzzese  diatonico,  i quali   rappresentano  la  vicenda  amorosa  dal primo incontro al matrimonio.ddu botte

La ‘zenna cuperte’, o ballo di entrata, descrive l'incontro tra i ragazzi e le fanciulle a cui segue lu ssaldarelle,  tradizionale danza in coppia che mima il corteggiamento, manifestato con sorrisi ed ammiccamenti, con ripetute ed  insistenti  "avances" dell'uomo e piccoli svolazzi di gonne delle donne.

Lu trallallere , ballo in  cerchio  consistente  essenzialmente in un passamano, simboleggia il rifiuto della corte della ragazza

Dopo  la serenata de lu mbrijche in cui lo spasimante, fattosi coraggio con un fiasco di buon  vino, porta la serenata  alla sua amata che finalmente accetta il corteggiamento, è la volta di  una  polka per festeggiare il fidanzamento.

lacciodamore

Infine  il  ballo   del   laccio, con l'intreccio dei  nastri  policromi sulla sommità del  palo,   rappresenta  il matrimonio, ed acquista il valore di danza propriziatoria: se l'intreccio riesce il matrimonio sarà senz'altro felice, altrimenti...

venerdì 20 agosto 2010

SAN VALENTINO CITERIORE: LA FESTA DEI CORNUTI

La leggenda di San Martino

san valentino Nella nostra tradizione San Martino  è il protettore del vino e si narra una  leggenda sulla sua vita per spiegare questa attribuzione. La figura del santo non ha niente a che fare con il Santo venerato dalla chiesa, ma è una figura che ricalca in modo impressionante quella di Bacco. Nella mitologia classica dal corpo di Bacco ucciso spunta la vite e questo è anche il punto centrale della figura di San Martino nella leggenda.

Un'analisi attenta del testo della tradizione ci dice molto sul sincretismo pagano-cristiano ancora largamente diffuso nella nostra tradizione, tenuto conto che la festa di questo santo l'undici novembre è associata a una particolarissima festa detta "Processione dei cornuti" che è un vero e proprio relitto del Baccanale e delle feste della fertilità.

Si narra che una sera, era d'inverno ed era caduta un po' di neve, faceva molto freddo e San Martino era stato in una cantina e si era ubriacato. In quei giorni la moglie era incinta e stava per partorire. Mentre tornava a casa, gli venne uno scrupolo nell'anima. Disse fra sé e sé: "Ora torno a casa e vado a coricarmi accanto a quella poveretta, così intirizzito dal freddo come sono e ubriaco. Non voglio farla soffrire, per questa sera dormo giù nella nostra cantina." E così fece. Entrò giù nella sua cantina e si accovacciò in una nicchia scavata dentro il muro proprio dietro una grande botte. La notte, a causa del freddo, morì!
Quando la sua anima giunse davanti a Dio, Dio vedendo che lui era morto per non fare del male alla moglie, lo fece santo.san martino

Intanto la moglie aspettò invano ma del marito non seppe più notizie. Ma da quel giorno cominciò ad accadere un fatto miracoloso: da quella grande botte che lei teneva in cantina, più vino cacciava e più ce ne ritrovava! Cos'è e cosa non è intanto la notizia si propagò.Venne il prete e la gente dal paese per vedere quel miracolo. Il prete volendo accertarsi, osservò bene la botte sotto e sopra, davanti e dietro. E che trovò?
Vide il corpo del santo dentro la nicchia e vide che dalla sua bocca era spuntata una vite e questa vite era entrata dentro la botte. E poi videro che questa vite aveva messo l'uva e l'uva diventava vino da sola. Allora dissero: "Solo un santo può fare un miracolo come questo!" E vi costruirono una chiesa. Ecco perché San Martino è il patrono del vino.

Un'analisi attenta del testo della tradizione ci dice molto sul sincretismo pagano-cristiano ancora largamente diffuso nella nostra tradizione, tenuto conto che la festa di questo santo l'undici novembre è associata a una particolarissima festa detta "Processione dei cornuti" che è un vero e proprio relitto del Baccanale e delle feste della fertilità.cornuti

Ogni anno, si rinnova a San Valentino in Abruzzo Citeriore (Pe) lo storico appuntamento con la celeberrima "Processione dei cornuti", sfilata di simboli fallici e corna animalesche organizzata in occasione della festa di San Martino. Alle 19.30 si forma una processione in cui sfilano le varie "corna" portate sul cappello, o montate su aste e addobbate. L'ultimo degli sposati dell'anno scorso, porta invece in dono "la reliquia", un fallo di legno coperto da un velo, accompagnato da candele accese e campane. Il corteo parte da piazza San Nicola, per poi arrivare a piazza Cesarone, dove avviene la consegna. Il portatore della reliquia, la consegna all'ultimo degli sposati di quest'anno, che poi la porterà in mano per tutto il corteo. Al momento della consegna sul suo capo vengono messe anche le corna, inevitabile rischio di ogni matrimonio.

COCULLO: I SERPARI DI SAN DOMENICO

Cocullo è piccolo centro abruzzese a 900 metri sul livello del mare di circa 400 abitanti, situato ai confini tra la Valle Peligna e la Marsica, ed é celebre per la Festa di San Domenico e i Serpari.

serpari 1

..a  S. Domenico di Cocullo non si andava solo per la festa del santo e la processione caratteristica con i serpari, ma più espressamente ci andava, accompagnato dai suoi, chi era stato morso da serpe velenosa o da cane idrofobo; secondo testimonianze di chi si era trovato in queste condizioni, varcato il confine di Cocullo, il malato veniva scosso da fortissima convulsione epilettica, segno evidente che per opera del santo il sangue aveva rigettato il veleno...(da "Una giornata tipica" di Arturo Iorio). Ogni primo giovedì di maggio si celebra  la Festa di San Domenico di Sora Abate (nato a Foligno e morto a Sora circa mille anni fa, patrono delle odontalgie), in questo giorno, Cocullo,  viene invaso da migliaia di persone: La religiosità si manifesta in modo particolare con l’offerta di serpi (colubri, lattari, biscie, ecc.). al protettore San Domenico Abate, incoronato dai "Serpari" per la processione nelle strade del paese. Il rito ha tradizioni antichissime, addirittura pre-romane, e si è mantenuto attraverso i secoli grazie alla devozione per San Domenico Abate di cui la Ciociaria è tuttora capofila.

Un fascino magico si nasconde in questa ricorrenza che si è aperta alcuni giorni prima con la ”piccola festa” in onore di S.Maria, con i giovani che sulle falde del Monte Luparo, del Monte di Mezzo, Palancaro, Forca d’Oro e Luppo, hanno dato la caccia alle serpi.  Queste segnate sulle teste, verso mezzogiorno, al termine della Messa, verranno posate sul capo della statua di San Domenico che con questo "ornamento" verrà portato in processione al suono della banda per tutto il paese fino a raggiungere la sommità, per ricevere l'omaggio dei fuochi pirotecnici. Poi il ritorno in chiesa per la cerimonia di maggiore intensità emotiva della giornata che riesce a coinvolgere anche i più restii alle emozioni.
Mentre i fedeli fanno la fila per raccogliere da dietro l’altare pietrisco da spargere intorno alle case a protezione dalle serpi e in molti tirano con i denti la cordicella della campana per assicurarsi grazie per la propria dentatura, dinanzi ala statua si radunano i pellegrini di Atina per la partenza al suono di zampogna e ciaramella: «Addio San Domenico/ noi siamo di partenza/ e dacci la licenza,/ la santa benedizion...», ripetuto più volte mentre con il viso rivolto al Santo si cammina all’indietro in un lento salmodiare. Mentre si spegne il canto lungo il sentiero che porta fuori dal paese, la festa finisce, anche se poi ci saranno concerti, le giostre, le bancarelle prese d’assalto fino a sera. Dopo una collettiva colazione sull’erba i pellegrini ripartiranno dandosi l’appuntamento all’anno che viene.

Fino a non molti anni fa le serpi venivano "sacrificate" nel piazzale della Chiesa di San Domenico, ma un diverso spirito religioso e civile vuole che ora siano liberate nelle stesse montagne dove sono state catturate

Durante la festa si svolge anche la processione in costume tipico del luogo, in cui le donne portano sulla testa i canestri riccamente addobbati con pizzi e trine, contenenti cinque pani sacri, i “ciambellani”.

costumi cocullo

ABRUZZO, FONTE DI “VIRTÚ”

VIRTU C’erano una volta, e in Abruzzo per fortuna ci sono ancora, le “Virtù”. Armonia di legumi, verdure, odori, carni e pasta, ottenuta con pazienza e meticolosità, le “Virtù” sono una pietanza calda e buonissima che la tradizione abruzzese vuole in tavola il primo maggio a segnare il passaggio dall’inverno alla primavera.
La ricetta delle “Virtù” è antichissima: affonda le sue radici nel mondo contadino romano e diventa poi tipica della provincia di Teramo, dove è ancor’oggi radicatissima. Le “Virtù” nascono dall’usanza primaverile di vuotare la madia e mischiare tutti gli avanzi dell’inverno alle primizie dei campi per festeggiare con la comunità l’arrivo della bella stagione.
Piatto che nella leggenda sarebbe legato alla sacralità del numero sette (analogamente al pasto della trebbiatura e al cenone della vigilia di Natale), in realtà le “Virtù” hanno un numero di ingredienti decisamente superiore.Fave, piselli, fagioli di varie qualità, ceci e lenticchie sono i legumi da mettere a bagno, separatamente, la sera del 30 aprile.
Numerosissime le verdure, da cucinare insieme in un pentolone di terracotta con un battuto di lardo e odori: zucchine, carote, patate, carciofi, bietole, indivia, scarola, lattuga, verza, cavolfiore, cicoria, spinaci, finocchio, rape.
Questi gli odori necessari: aglio, cipolla, maggiorana, salvia, timo, sedano, prezzemolo, aneto, noce moscata, chiodi di garofano, pepe o peperoncino, pipirella, menta selvatica, borragine, finocchietto selvatico, basilico.
Queste le carni da cui ottenere un buonissimo brodo: prosciutto crudo, cotiche, piedi e orecchie di maiale, carne macinata e polpettine (o pallottine) di manzo lardo, lonza, pancetta, guanciale.
Ecco la pasta da far bollire e aggiungere nel pentolone: di grano duro corta, fresca all'uovo di varie forme e dimensioni.
Altri ingredienti: olio, sale, polpa di pomodoro e infine formaggio grattugiato.
Dosi abbondanti e una preparazione lenta e complessa portano alle “Virtù”, piatto benaugurante da donare ai vicini il primo di maggio perché, più di una rondine, fa primavera.

 

TERAMO VIRTU

Leggende dei nostri monti: Majella e Gran Sasso

la majellaLa Majella, definita da Plinio “padre dei monti”, è da sempre considerata dagli abruzzesi la sacra, materna montagna, luogo di miti e leggende, avvolta di magiche atmosfere. Alcuni affermano che in principio la montagna s’appellasse Paleno, consacrata a Giove e successivamente modificata in Majella.
Un’antica ed affascinante fiaba fa discendere la voce Majella dal culto della dea Maja, la maggiore delle Pleiadi e figlia d’Atlante. Si narra che nella Frigia vivessero bellissime guerriere possenti, le “Majellane”, tra cui Maja la più incantevole, che ebbe un figlio da Giove, Ermes, anch’egli bellissimo e titanico che fu trafitto a morte durante una battaglia. Maja allora scappò con lui sul monte Paleno dovizioso di erbe medicinali, tra cui una molto speciale che sbocciava a primavera al liquefarsi delle nevi e che era in grado di curare ogni malanno. Quando vi giunsero, però, il Monte Paleno era ancora ammantato di neve e mancante dell’agognata erba. Ermes, perciò, cessò di vivere e fu sepolto sul Gran Sasso, Maja disperata morì di crepacuore e fu seppellita sulla Majella. Ancor oggi, il sibilo del vento che scuote i rami, l’ululato della tempesta, lo strepitio delle rocce che crollano nei valloni, altro non sarebbero che il lamento di Maja, che ancora piange la perdita dell’amato Ermes. Giove, volendo ricordare il giovane, vi fece nascere un singolare albero dai fiori gialli, dorati, dandogli nome Majo: il Maggiociondolo. In seguito il fiore divenne pegno d’amore fra i giovani che, nella notte di calendimaggio, in cui si festeggiava l’arrivo della primavera, ne appendevano un ramo sulla porta della donna amata.

 

Un'altra leggenda narra che in un lontano passato, sulle coste della dorata riviera abruzzese, approdò una giovane gran sasso madre con il suo piccolo bambino; entrambi sfiniti e ammalati iniziarono a inoltrarsi verso l’entroterra, fino ad arrivare ai maestosi monti. La giovane Maja era figlia di Dei e regina d’India, si era messa in viaggio per trovare quella serenità da qualche tempo negatagli. Arrivati ai monti madre e figlio caddero in un sonno profondo, al risveglio Maja ebbe subito la terribile notizia: il giovane principe era morto. Alla disperazione della regina parteciparono tutti gli animali della foresta, e persino il sole si ritirò in anticipo per lasciare più tempo ai prodigi della Notte. Nel frattempo la madre aveva avvolto il piccolo in fasce d’oro e si era coricata al suo fianco. La Notte passò lentamente e serena, con quell’atmosfera di magico che ricopriva il paesaggio; tutti attendevano il grande miracolo che stava per verificarsi. Alle prime ore dell’alba, tutti gli abitanti della montagna rimasero a bocca aperta nel vedere il piccolo principe trasformato in una maestosa montagna dalle sembianze di un grande uomo addormentato, e la dolce Maja appoggiata ai suoi piedi sempre sotto la forma di una grande roccia. Ancora oggi la regina d’India e il suo piccolo principe riposano tranquilli  tra le terre d’Abruzzo, e forse non tutti sanno che quei monti chiamati Gran Sasso e Maiella sono proprio loro.

Scanno: Lu catenacce (matrimonio tradizionale)

matrimonio di scanno Si rinnova  ogni anno a  Scanno (l'Aquila) una delle tradizioni più antiche e suggestive, in  quella che da molti anni e' divenuta la manifestazione di maggiori  richiamo dell'estate abruzzese: 'lu catenacce'. Si tratta della  rievocazione del corteo nuziale con il costume tipico locale. Gli  sposini, a partire dalle ore 21,30, sfilano per le stradine del centro storico della cittadina lacustre accompagnati da parenti e amici fino  all'altare. Poi, a notte fonda, dopo balli e libagioni, l'arrivo nella nuova casa. Il tutto viene vissuto in un clima suggestivo ricco di emozioni  e che conserva intatta una una tradizione mai sbiadita da queste parti. Per studiosi ed esperti di tradizioni popolari, questa manifestazione è simbolo di una identità precisa: culturale e folkloristica.La spettacolarita' della cerimonia risiede per buona parte nella ricchezza cromatica del costume che, scriveva il disegnatore Edward  Lear nel 1843, '' è quanto mai originale e tradisce una provenienza orientale'' mentre secondo studi più recenti apparterrebbe alla buona tradizione delle classi agiate napoletane. Nell'occasione, comunque, ragazzi e ragazze indossano con solennità il completo da cerimonia. Gli uomini sono tutti compresi nel loro abito scuro: unica civetteria che si concedono e' il nastrino bicolore  annodato come cravatta. Le donne hanno sul capo un turbante azzurro chiamato 'cappelito', fasciato da un fazzoletto di seta a righe  verticali, da cui discendono i lacci che si annodano ai capelli: il busto e' coperto dal 'giustacuore', detto 'commodino', un corpetto di lana da cui fa capolino il merletto che impreziosisce il collo della camicia. Infine la grande gonna- grembiule damascata chiamata 'mantera'. A questo evento si legano altre tradizioni. Cosi', ad esempio, per molte coppiette che quel giorno sfilano sottobraccio indossando gli abiti dei nonni, 'il catenaccio' rappresenta il giorno della consacrazione di un legame sentimentale che cosi' viene reso pubblico agli occhi del paese. E cosi' la sera del 14 agosto di ogni anno la tradizione si ripete fra l'entusiasmo di migliaia di turisti e curiosi.

lunedì 16 agosto 2010

ORSOGNA (CH): LA SAGRA DEI TALAMI

Orsogna pare derivare il nome dal nome arcaico di una sua contrada sita nella Valle del Moro presso l'abitato, la contrada Rissogna, vale a dire l'odierna contrada Fraia.
Secondo la leggenda nei pressi dell'abitato vivevano degli orsi, come attesta lo stemma. Anticamente il paese abruzzese era popolato prevalentemente da contadini, ma vi erano anche dei vasari, dato che il terreno circostante all'abitato è argilloso.Questi artigiani lavoravano in grotte sotto la rupe rivestita di calanchi del paese, in posizione favorevole protetta dal freddo invernale.Oggi le grotte degli artigiani sono quasi del tutto abbandonate dal periodo della IIª guerra mondiale, ma in molte grotte sono rimasti resti di lavorazione di terracotta.Nel 1881 terremoti di notevole  intensità colpirono Orsogna, con numerosi morti e feriti.

Come un rito, ogni anno Orsogna celebra la tradizionale Festa dei Talami. E' una festa caratteristica che si svolge il primo martedi dopo Pasqua . Da alcuni anni   viene ripetuta, in edizione notturna,  il 15 agosto,  ed in questa edizione estiva richiama un gran numero di  persone, anche da paesi molto lontani e soprattutto gli Orsognesi residenti all'estero ed in altre città italiane. Ogni Talamo è ispirato a una scena della Bibbia e interpretato da attori immobili davanti a un fondale affrescato dai pittori orsognesi. In alto, una bambina legata a una raggiera impersona la Madonna del Rifugio, in cui onore nacqe la festa.

In origine , probabilmente, era un rito pagano in occasione del ritorno della Primavera (feste e riti simili se ne trovano, innumerevoli, nelle civilta' contadine). Con l'avvento del Cristianesimo - di certo in epoca tardo-medioevale - il rito delle offerte sacrificali delle primizie e della gioa per la fine del periodo invernale, fu collegato alla venerazione della Madonna del Rifugio . Ad Orsogna si venera ancora una statua della Madonna del Rifugio in atto di coprire i suoi fedeli col suo manto - come fosse, appunto, un "rifugio" per i devoti. Mentre non esiste piu' la antica e particolarissima immagine della Madonna Nera del Rifugio, alla quale era stata originariamente collegata la Festa dei Talami. Quella immagine ,venerata moltissimo ad Orsogna, si trovava, fino al 1943, sull'Altare maggiore della Chiesa o Cappella della Madonna del Rifugio , distrutta completamente dalla guerra. Gli orsognesi piu' anziani ricordano ancora la bella chiesa tutta bianca , non grande (metri 22 x metri 10 circa) ma molto luminosa , che si ergeva sulla imponente rupe che domina la valle del Fiume Moro dalla Maiella all'Adriatico. Fu proprio la posizione di Orsogna - soprattutto la parte rivolta a sud, verso la valle del Moro, che rappresentava il nucleo originario del paese e quindi vi erano state erette le chiese piu' antiche - a determinare da parte del comando tedesco - in particolare del Maresciallo Kesserling - la scelta di Orsogna come baluardo per bloccare gli Alleati che avanzavano da Sud nell'estate/autunno del 1943 , (MORO RIVER battle) e quindi la completa evacuazione della popolazione civile e la quasi totale distruzione degli edifici pubblici e privati. Dunque la sede originaria del Talamo fu quella chiesa situata dove oggi c'è il Piazzale Belvedere.
Secondo la leggenda, il tempio fu edificato in quel luogo perchè vi era apparsa, in epoca immemorabile, la Vergine Maria, tra i rami di un albero di fichi.
Scrive Pio Costantini : "La leggenda sull'origine del culto della Madonna Nera è molto incerta e non ha sufficiente radice nella credenza popolare. Si ritiene che la Madonna sia venuta dall'Egitto e si sia posata su un albero. Onde a venerazione la costruzione della Cappella" . "Questa della Madonna che si posa sull'albero è credenza consueta in Abruzzo".
Il culto di una Madonna dalla pelle scura e' abbastanza diffuso in Italia e non solo. Si pensi alla Madonna venerata a Loreto (AN) ed alla Madonna di Cestokova (Polonia).

giovedì 12 agosto 2010

Pescara, Festa del Patrono, Sant’Andrea

La Festa di sant'Andrea è la tradizionale festa con la quale la marineria di Pescara festeggia il proprio santo protettore: Sant'Andrea apostolo. La tradizione risale al 1867 quando a Castellammare Adriatico, nella zona del borgo marino- vicino al porto ed al fiume, fu costruita una chiesa dedicata proprio a Sant'Andrea apostolo, protettore dei pescatori. Da quello stesso anno ed in tutti gli anni seguenti, la marineria ha celebrato il santo con una processione, che ha la caratteristica di svolgersi in mare.

la processione avanza costeggiando la spiaggia ed arriva fino all'altezza di Montesilvano dove viene gettata una corona d’alloro per ricordare i caduti in mare. A questo punto, la flottiglia rientra in porto. La consuetudine vuole che non si possa fare il bagno in mare se non dopo aver partecipato alla processione. ]

La festa prende luogo ancora nell’area dell’antico borgo marinaro e si svolge nella sponda settentrionale del fiume . I festeggiamenti si protraggono per le notti di tutto il week-end che precede la processione e coinvolgono decine di migliaia di persone.

Sant'Andrea fuochi pescara

Raiano (AQ) il paese delle ciliegie

La coltivazione del ciliegio ha da sempre avuto un ampio sviluppo nel territorio di Raiano. Essendo il primo frutto che matura dopo i rigidi inverni, nella civiltà contadina di Raiano se ne producevano in grande quantità; tutte le famiglie avevano le loro piante e, all’inizio del secolo passato, il raccolto veniva venduto nella Piazza del paese, in un grande e unico mercato. Questa usanza ha dato origine alla “Maggiolata”, un festival di cori abruzzesi, divenuta nel corso degli anni Sagra delle Ciliegie.

La Sagra si rinnova ormai da 55 anni, la seconda domenica di giugno, con una giornata all'insegna della gastronomia ma anche della cultura, con sfilate di carri allegorici e rassegna di costumi tipici.

La ciliegia come regina della giornata che richiama ormai da moltissimi anni un pubblico sempre piu' numeroso, ma anche l'occasione per tramandare valori ed usanze tipiche della Valle Peligna da sempre ricca del delizioso frutto.

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mercoledì 11 agosto 2010

CAPESTRANO E IL SUO GUERRIERO

Il guerriero di capestrano è il simbolo dell'Abruzzo al'estero, forse più conosciuto all'estero che nella stessa Italia. Il mistero, il fascino, l'unicità nel suo genere, rendono questo manufatto di origine preromana oggetto di studi e ricerche.

clip_image002[4]La scultura, risalente alla metà del VI sec. a.C., rappresenta una figura maschile, con braccia ripiegate sul petto, in costume militare; in realtà è una statua funeraria di un principe guerriero, collocata sulla sommità del tumulo di terra posto sopra la tomba. Il ritrovamento fu casuale nel 1934 nel borgo di Capestrano (Aq), durante i lavori di dissodamento di un terreno.clip_image002[8]

La statua, ricavata da un unico blocco di pietra, ha un'imponenza fuori dal comune: è alta due metri oltre al basamento di quasi mezzo metro di altezza e  l'ampiezza delle spalle è di quasi 135 cm. Secondo ipotesi non propriamente ortodosse ma comunque affascinanti il guerriero di capestrano non sarebbe altro che un astronauta, o meglio, la raffigurazione di un astronauta.

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E' un'opera realistica e fantastica nello stesso tempo, così lontana da ogni riduttiva interpretazione estetica. Il copricapo, a forma di disco e dall'incredibile ampiezza, è completato da una calotta semisferica con una cresta innestata che genera una sorta di coda. Gli studiosi non hanno un'opinione condivisa sui lineamenti del volto, semplicemente stilizzati per alcuni, vera maschera protettiva o funeraria per altri.

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Ma chi era veramente il guerriero? Sul pilastro sinistro che regge la statua c'è una scritta, incisa verticalmente su una sola riga, da leggere dal basso verso l'alto, che ha generato dispute su dispute, appianate di recente dallo studio di alcune iscrizioni ritrovate a Penna Sant'Andrea, vicino Teramo. Essa recita: "me bella immagine fece Anini per il re Nevio Pompuledio". Svelando così il nome del guerriero ma anche dell'artista.

La stupenda ed affascinante scultura è esposta nel Museo Archeologico Nazionale d'Abruzzo di Chieti, Villa Comunale. Il Museo è aperto tutto l'anno, dal martedì alla domenica, con orario 9,00/19,00.

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