sabato 21 agosto 2010

IL LACCIO D’AMORE DI PENNA SANT’ANDREA (TE)

Il Laccio d’amore affonda le sue origini nella preistoria, essendo, secondo gli studi piú attendibili, l’ultimo residuo di una piú vasta liturgia di riti agresti di venerazione delle divinitá arboree e di propiziazione della feconditá.

A  Penna Sant'Andrea  il   ballo  del  laccio è  rimasto  radicato  sino ad oggi assumendo la connotazione di danza tipica delle  feste  e  di  ballo  propiziatorio  dei  matrimoni  in  occasione  dei quali è tradizione  trarre  presagio  per   il  futuro   della  coppia   dalla  riuscita  dell' intreccio e  del  disintreccio  dei nastri.     

                              salterello                                     All 'inizio  del '900  si  è costituito l 'omonimo Gruppo Folkloristico che ha  fatto conoscere il ballo in tutta  Italia ed in numerose nazioni europee.   

 

Nella  versione  attuale  il  Laccio d' amore  si  compone  di  vari balli, tutti accompagnati dal suono del   ddu  bbotte,   tipico  organetto  abruzzese  diatonico,  i quali   rappresentano  la  vicenda  amorosa  dal primo incontro al matrimonio.ddu botte

La ‘zenna cuperte’, o ballo di entrata, descrive l'incontro tra i ragazzi e le fanciulle a cui segue lu ssaldarelle,  tradizionale danza in coppia che mima il corteggiamento, manifestato con sorrisi ed ammiccamenti, con ripetute ed  insistenti  "avances" dell'uomo e piccoli svolazzi di gonne delle donne.

Lu trallallere , ballo in  cerchio  consistente  essenzialmente in un passamano, simboleggia il rifiuto della corte della ragazza

Dopo  la serenata de lu mbrijche in cui lo spasimante, fattosi coraggio con un fiasco di buon  vino, porta la serenata  alla sua amata che finalmente accetta il corteggiamento, è la volta di  una  polka per festeggiare il fidanzamento.

lacciodamore

Infine  il  ballo   del   laccio, con l'intreccio dei  nastri  policromi sulla sommità del  palo,   rappresenta  il matrimonio, ed acquista il valore di danza propriziatoria: se l'intreccio riesce il matrimonio sarà senz'altro felice, altrimenti...

venerdì 20 agosto 2010

SAN VALENTINO CITERIORE: LA FESTA DEI CORNUTI

La leggenda di San Martino

san valentino Nella nostra tradizione San Martino  è il protettore del vino e si narra una  leggenda sulla sua vita per spiegare questa attribuzione. La figura del santo non ha niente a che fare con il Santo venerato dalla chiesa, ma è una figura che ricalca in modo impressionante quella di Bacco. Nella mitologia classica dal corpo di Bacco ucciso spunta la vite e questo è anche il punto centrale della figura di San Martino nella leggenda.

Un'analisi attenta del testo della tradizione ci dice molto sul sincretismo pagano-cristiano ancora largamente diffuso nella nostra tradizione, tenuto conto che la festa di questo santo l'undici novembre è associata a una particolarissima festa detta "Processione dei cornuti" che è un vero e proprio relitto del Baccanale e delle feste della fertilità.

Si narra che una sera, era d'inverno ed era caduta un po' di neve, faceva molto freddo e San Martino era stato in una cantina e si era ubriacato. In quei giorni la moglie era incinta e stava per partorire. Mentre tornava a casa, gli venne uno scrupolo nell'anima. Disse fra sé e sé: "Ora torno a casa e vado a coricarmi accanto a quella poveretta, così intirizzito dal freddo come sono e ubriaco. Non voglio farla soffrire, per questa sera dormo giù nella nostra cantina." E così fece. Entrò giù nella sua cantina e si accovacciò in una nicchia scavata dentro il muro proprio dietro una grande botte. La notte, a causa del freddo, morì!
Quando la sua anima giunse davanti a Dio, Dio vedendo che lui era morto per non fare del male alla moglie, lo fece santo.san martino

Intanto la moglie aspettò invano ma del marito non seppe più notizie. Ma da quel giorno cominciò ad accadere un fatto miracoloso: da quella grande botte che lei teneva in cantina, più vino cacciava e più ce ne ritrovava! Cos'è e cosa non è intanto la notizia si propagò.Venne il prete e la gente dal paese per vedere quel miracolo. Il prete volendo accertarsi, osservò bene la botte sotto e sopra, davanti e dietro. E che trovò?
Vide il corpo del santo dentro la nicchia e vide che dalla sua bocca era spuntata una vite e questa vite era entrata dentro la botte. E poi videro che questa vite aveva messo l'uva e l'uva diventava vino da sola. Allora dissero: "Solo un santo può fare un miracolo come questo!" E vi costruirono una chiesa. Ecco perché San Martino è il patrono del vino.

Un'analisi attenta del testo della tradizione ci dice molto sul sincretismo pagano-cristiano ancora largamente diffuso nella nostra tradizione, tenuto conto che la festa di questo santo l'undici novembre è associata a una particolarissima festa detta "Processione dei cornuti" che è un vero e proprio relitto del Baccanale e delle feste della fertilità.cornuti

Ogni anno, si rinnova a San Valentino in Abruzzo Citeriore (Pe) lo storico appuntamento con la celeberrima "Processione dei cornuti", sfilata di simboli fallici e corna animalesche organizzata in occasione della festa di San Martino. Alle 19.30 si forma una processione in cui sfilano le varie "corna" portate sul cappello, o montate su aste e addobbate. L'ultimo degli sposati dell'anno scorso, porta invece in dono "la reliquia", un fallo di legno coperto da un velo, accompagnato da candele accese e campane. Il corteo parte da piazza San Nicola, per poi arrivare a piazza Cesarone, dove avviene la consegna. Il portatore della reliquia, la consegna all'ultimo degli sposati di quest'anno, che poi la porterà in mano per tutto il corteo. Al momento della consegna sul suo capo vengono messe anche le corna, inevitabile rischio di ogni matrimonio.

COCULLO: I SERPARI DI SAN DOMENICO

Cocullo è piccolo centro abruzzese a 900 metri sul livello del mare di circa 400 abitanti, situato ai confini tra la Valle Peligna e la Marsica, ed é celebre per la Festa di San Domenico e i Serpari.

serpari 1

..a  S. Domenico di Cocullo non si andava solo per la festa del santo e la processione caratteristica con i serpari, ma più espressamente ci andava, accompagnato dai suoi, chi era stato morso da serpe velenosa o da cane idrofobo; secondo testimonianze di chi si era trovato in queste condizioni, varcato il confine di Cocullo, il malato veniva scosso da fortissima convulsione epilettica, segno evidente che per opera del santo il sangue aveva rigettato il veleno...(da "Una giornata tipica" di Arturo Iorio). Ogni primo giovedì di maggio si celebra  la Festa di San Domenico di Sora Abate (nato a Foligno e morto a Sora circa mille anni fa, patrono delle odontalgie), in questo giorno, Cocullo,  viene invaso da migliaia di persone: La religiosità si manifesta in modo particolare con l’offerta di serpi (colubri, lattari, biscie, ecc.). al protettore San Domenico Abate, incoronato dai "Serpari" per la processione nelle strade del paese. Il rito ha tradizioni antichissime, addirittura pre-romane, e si è mantenuto attraverso i secoli grazie alla devozione per San Domenico Abate di cui la Ciociaria è tuttora capofila.

Un fascino magico si nasconde in questa ricorrenza che si è aperta alcuni giorni prima con la ”piccola festa” in onore di S.Maria, con i giovani che sulle falde del Monte Luparo, del Monte di Mezzo, Palancaro, Forca d’Oro e Luppo, hanno dato la caccia alle serpi.  Queste segnate sulle teste, verso mezzogiorno, al termine della Messa, verranno posate sul capo della statua di San Domenico che con questo "ornamento" verrà portato in processione al suono della banda per tutto il paese fino a raggiungere la sommità, per ricevere l'omaggio dei fuochi pirotecnici. Poi il ritorno in chiesa per la cerimonia di maggiore intensità emotiva della giornata che riesce a coinvolgere anche i più restii alle emozioni.
Mentre i fedeli fanno la fila per raccogliere da dietro l’altare pietrisco da spargere intorno alle case a protezione dalle serpi e in molti tirano con i denti la cordicella della campana per assicurarsi grazie per la propria dentatura, dinanzi ala statua si radunano i pellegrini di Atina per la partenza al suono di zampogna e ciaramella: «Addio San Domenico/ noi siamo di partenza/ e dacci la licenza,/ la santa benedizion...», ripetuto più volte mentre con il viso rivolto al Santo si cammina all’indietro in un lento salmodiare. Mentre si spegne il canto lungo il sentiero che porta fuori dal paese, la festa finisce, anche se poi ci saranno concerti, le giostre, le bancarelle prese d’assalto fino a sera. Dopo una collettiva colazione sull’erba i pellegrini ripartiranno dandosi l’appuntamento all’anno che viene.

Fino a non molti anni fa le serpi venivano "sacrificate" nel piazzale della Chiesa di San Domenico, ma un diverso spirito religioso e civile vuole che ora siano liberate nelle stesse montagne dove sono state catturate

Durante la festa si svolge anche la processione in costume tipico del luogo, in cui le donne portano sulla testa i canestri riccamente addobbati con pizzi e trine, contenenti cinque pani sacri, i “ciambellani”.

costumi cocullo

ABRUZZO, FONTE DI “VIRTÚ”

VIRTU C’erano una volta, e in Abruzzo per fortuna ci sono ancora, le “Virtù”. Armonia di legumi, verdure, odori, carni e pasta, ottenuta con pazienza e meticolosità, le “Virtù” sono una pietanza calda e buonissima che la tradizione abruzzese vuole in tavola il primo maggio a segnare il passaggio dall’inverno alla primavera.
La ricetta delle “Virtù” è antichissima: affonda le sue radici nel mondo contadino romano e diventa poi tipica della provincia di Teramo, dove è ancor’oggi radicatissima. Le “Virtù” nascono dall’usanza primaverile di vuotare la madia e mischiare tutti gli avanzi dell’inverno alle primizie dei campi per festeggiare con la comunità l’arrivo della bella stagione.
Piatto che nella leggenda sarebbe legato alla sacralità del numero sette (analogamente al pasto della trebbiatura e al cenone della vigilia di Natale), in realtà le “Virtù” hanno un numero di ingredienti decisamente superiore.Fave, piselli, fagioli di varie qualità, ceci e lenticchie sono i legumi da mettere a bagno, separatamente, la sera del 30 aprile.
Numerosissime le verdure, da cucinare insieme in un pentolone di terracotta con un battuto di lardo e odori: zucchine, carote, patate, carciofi, bietole, indivia, scarola, lattuga, verza, cavolfiore, cicoria, spinaci, finocchio, rape.
Questi gli odori necessari: aglio, cipolla, maggiorana, salvia, timo, sedano, prezzemolo, aneto, noce moscata, chiodi di garofano, pepe o peperoncino, pipirella, menta selvatica, borragine, finocchietto selvatico, basilico.
Queste le carni da cui ottenere un buonissimo brodo: prosciutto crudo, cotiche, piedi e orecchie di maiale, carne macinata e polpettine (o pallottine) di manzo lardo, lonza, pancetta, guanciale.
Ecco la pasta da far bollire e aggiungere nel pentolone: di grano duro corta, fresca all'uovo di varie forme e dimensioni.
Altri ingredienti: olio, sale, polpa di pomodoro e infine formaggio grattugiato.
Dosi abbondanti e una preparazione lenta e complessa portano alle “Virtù”, piatto benaugurante da donare ai vicini il primo di maggio perché, più di una rondine, fa primavera.

 

TERAMO VIRTU

Leggende dei nostri monti: Majella e Gran Sasso

la majellaLa Majella, definita da Plinio “padre dei monti”, è da sempre considerata dagli abruzzesi la sacra, materna montagna, luogo di miti e leggende, avvolta di magiche atmosfere. Alcuni affermano che in principio la montagna s’appellasse Paleno, consacrata a Giove e successivamente modificata in Majella.
Un’antica ed affascinante fiaba fa discendere la voce Majella dal culto della dea Maja, la maggiore delle Pleiadi e figlia d’Atlante. Si narra che nella Frigia vivessero bellissime guerriere possenti, le “Majellane”, tra cui Maja la più incantevole, che ebbe un figlio da Giove, Ermes, anch’egli bellissimo e titanico che fu trafitto a morte durante una battaglia. Maja allora scappò con lui sul monte Paleno dovizioso di erbe medicinali, tra cui una molto speciale che sbocciava a primavera al liquefarsi delle nevi e che era in grado di curare ogni malanno. Quando vi giunsero, però, il Monte Paleno era ancora ammantato di neve e mancante dell’agognata erba. Ermes, perciò, cessò di vivere e fu sepolto sul Gran Sasso, Maja disperata morì di crepacuore e fu seppellita sulla Majella. Ancor oggi, il sibilo del vento che scuote i rami, l’ululato della tempesta, lo strepitio delle rocce che crollano nei valloni, altro non sarebbero che il lamento di Maja, che ancora piange la perdita dell’amato Ermes. Giove, volendo ricordare il giovane, vi fece nascere un singolare albero dai fiori gialli, dorati, dandogli nome Majo: il Maggiociondolo. In seguito il fiore divenne pegno d’amore fra i giovani che, nella notte di calendimaggio, in cui si festeggiava l’arrivo della primavera, ne appendevano un ramo sulla porta della donna amata.

 

Un'altra leggenda narra che in un lontano passato, sulle coste della dorata riviera abruzzese, approdò una giovane gran sasso madre con il suo piccolo bambino; entrambi sfiniti e ammalati iniziarono a inoltrarsi verso l’entroterra, fino ad arrivare ai maestosi monti. La giovane Maja era figlia di Dei e regina d’India, si era messa in viaggio per trovare quella serenità da qualche tempo negatagli. Arrivati ai monti madre e figlio caddero in un sonno profondo, al risveglio Maja ebbe subito la terribile notizia: il giovane principe era morto. Alla disperazione della regina parteciparono tutti gli animali della foresta, e persino il sole si ritirò in anticipo per lasciare più tempo ai prodigi della Notte. Nel frattempo la madre aveva avvolto il piccolo in fasce d’oro e si era coricata al suo fianco. La Notte passò lentamente e serena, con quell’atmosfera di magico che ricopriva il paesaggio; tutti attendevano il grande miracolo che stava per verificarsi. Alle prime ore dell’alba, tutti gli abitanti della montagna rimasero a bocca aperta nel vedere il piccolo principe trasformato in una maestosa montagna dalle sembianze di un grande uomo addormentato, e la dolce Maja appoggiata ai suoi piedi sempre sotto la forma di una grande roccia. Ancora oggi la regina d’India e il suo piccolo principe riposano tranquilli  tra le terre d’Abruzzo, e forse non tutti sanno che quei monti chiamati Gran Sasso e Maiella sono proprio loro.

Scanno: Lu catenacce (matrimonio tradizionale)

matrimonio di scanno Si rinnova  ogni anno a  Scanno (l'Aquila) una delle tradizioni più antiche e suggestive, in  quella che da molti anni e' divenuta la manifestazione di maggiori  richiamo dell'estate abruzzese: 'lu catenacce'. Si tratta della  rievocazione del corteo nuziale con il costume tipico locale. Gli  sposini, a partire dalle ore 21,30, sfilano per le stradine del centro storico della cittadina lacustre accompagnati da parenti e amici fino  all'altare. Poi, a notte fonda, dopo balli e libagioni, l'arrivo nella nuova casa. Il tutto viene vissuto in un clima suggestivo ricco di emozioni  e che conserva intatta una una tradizione mai sbiadita da queste parti. Per studiosi ed esperti di tradizioni popolari, questa manifestazione è simbolo di una identità precisa: culturale e folkloristica.La spettacolarita' della cerimonia risiede per buona parte nella ricchezza cromatica del costume che, scriveva il disegnatore Edward  Lear nel 1843, '' è quanto mai originale e tradisce una provenienza orientale'' mentre secondo studi più recenti apparterrebbe alla buona tradizione delle classi agiate napoletane. Nell'occasione, comunque, ragazzi e ragazze indossano con solennità il completo da cerimonia. Gli uomini sono tutti compresi nel loro abito scuro: unica civetteria che si concedono e' il nastrino bicolore  annodato come cravatta. Le donne hanno sul capo un turbante azzurro chiamato 'cappelito', fasciato da un fazzoletto di seta a righe  verticali, da cui discendono i lacci che si annodano ai capelli: il busto e' coperto dal 'giustacuore', detto 'commodino', un corpetto di lana da cui fa capolino il merletto che impreziosisce il collo della camicia. Infine la grande gonna- grembiule damascata chiamata 'mantera'. A questo evento si legano altre tradizioni. Cosi', ad esempio, per molte coppiette che quel giorno sfilano sottobraccio indossando gli abiti dei nonni, 'il catenaccio' rappresenta il giorno della consacrazione di un legame sentimentale che cosi' viene reso pubblico agli occhi del paese. E cosi' la sera del 14 agosto di ogni anno la tradizione si ripete fra l'entusiasmo di migliaia di turisti e curiosi.

lunedì 16 agosto 2010

ORSOGNA (CH): LA SAGRA DEI TALAMI

Orsogna pare derivare il nome dal nome arcaico di una sua contrada sita nella Valle del Moro presso l'abitato, la contrada Rissogna, vale a dire l'odierna contrada Fraia.
Secondo la leggenda nei pressi dell'abitato vivevano degli orsi, come attesta lo stemma. Anticamente il paese abruzzese era popolato prevalentemente da contadini, ma vi erano anche dei vasari, dato che il terreno circostante all'abitato è argilloso.Questi artigiani lavoravano in grotte sotto la rupe rivestita di calanchi del paese, in posizione favorevole protetta dal freddo invernale.Oggi le grotte degli artigiani sono quasi del tutto abbandonate dal periodo della IIª guerra mondiale, ma in molte grotte sono rimasti resti di lavorazione di terracotta.Nel 1881 terremoti di notevole  intensità colpirono Orsogna, con numerosi morti e feriti.

Come un rito, ogni anno Orsogna celebra la tradizionale Festa dei Talami. E' una festa caratteristica che si svolge il primo martedi dopo Pasqua . Da alcuni anni   viene ripetuta, in edizione notturna,  il 15 agosto,  ed in questa edizione estiva richiama un gran numero di  persone, anche da paesi molto lontani e soprattutto gli Orsognesi residenti all'estero ed in altre città italiane. Ogni Talamo è ispirato a una scena della Bibbia e interpretato da attori immobili davanti a un fondale affrescato dai pittori orsognesi. In alto, una bambina legata a una raggiera impersona la Madonna del Rifugio, in cui onore nacqe la festa.

In origine , probabilmente, era un rito pagano in occasione del ritorno della Primavera (feste e riti simili se ne trovano, innumerevoli, nelle civilta' contadine). Con l'avvento del Cristianesimo - di certo in epoca tardo-medioevale - il rito delle offerte sacrificali delle primizie e della gioa per la fine del periodo invernale, fu collegato alla venerazione della Madonna del Rifugio . Ad Orsogna si venera ancora una statua della Madonna del Rifugio in atto di coprire i suoi fedeli col suo manto - come fosse, appunto, un "rifugio" per i devoti. Mentre non esiste piu' la antica e particolarissima immagine della Madonna Nera del Rifugio, alla quale era stata originariamente collegata la Festa dei Talami. Quella immagine ,venerata moltissimo ad Orsogna, si trovava, fino al 1943, sull'Altare maggiore della Chiesa o Cappella della Madonna del Rifugio , distrutta completamente dalla guerra. Gli orsognesi piu' anziani ricordano ancora la bella chiesa tutta bianca , non grande (metri 22 x metri 10 circa) ma molto luminosa , che si ergeva sulla imponente rupe che domina la valle del Fiume Moro dalla Maiella all'Adriatico. Fu proprio la posizione di Orsogna - soprattutto la parte rivolta a sud, verso la valle del Moro, che rappresentava il nucleo originario del paese e quindi vi erano state erette le chiese piu' antiche - a determinare da parte del comando tedesco - in particolare del Maresciallo Kesserling - la scelta di Orsogna come baluardo per bloccare gli Alleati che avanzavano da Sud nell'estate/autunno del 1943 , (MORO RIVER battle) e quindi la completa evacuazione della popolazione civile e la quasi totale distruzione degli edifici pubblici e privati. Dunque la sede originaria del Talamo fu quella chiesa situata dove oggi c'è il Piazzale Belvedere.
Secondo la leggenda, il tempio fu edificato in quel luogo perchè vi era apparsa, in epoca immemorabile, la Vergine Maria, tra i rami di un albero di fichi.
Scrive Pio Costantini : "La leggenda sull'origine del culto della Madonna Nera è molto incerta e non ha sufficiente radice nella credenza popolare. Si ritiene che la Madonna sia venuta dall'Egitto e si sia posata su un albero. Onde a venerazione la costruzione della Cappella" . "Questa della Madonna che si posa sull'albero è credenza consueta in Abruzzo".
Il culto di una Madonna dalla pelle scura e' abbastanza diffuso in Italia e non solo. Si pensi alla Madonna venerata a Loreto (AN) ed alla Madonna di Cestokova (Polonia).

giovedì 12 agosto 2010

Pescara, Festa del Patrono, Sant’Andrea

La Festa di sant'Andrea è la tradizionale festa con la quale la marineria di Pescara festeggia il proprio santo protettore: Sant'Andrea apostolo. La tradizione risale al 1867 quando a Castellammare Adriatico, nella zona del borgo marino- vicino al porto ed al fiume, fu costruita una chiesa dedicata proprio a Sant'Andrea apostolo, protettore dei pescatori. Da quello stesso anno ed in tutti gli anni seguenti, la marineria ha celebrato il santo con una processione, che ha la caratteristica di svolgersi in mare.

la processione avanza costeggiando la spiaggia ed arriva fino all'altezza di Montesilvano dove viene gettata una corona d’alloro per ricordare i caduti in mare. A questo punto, la flottiglia rientra in porto. La consuetudine vuole che non si possa fare il bagno in mare se non dopo aver partecipato alla processione. ]

La festa prende luogo ancora nell’area dell’antico borgo marinaro e si svolge nella sponda settentrionale del fiume . I festeggiamenti si protraggono per le notti di tutto il week-end che precede la processione e coinvolgono decine di migliaia di persone.

Sant'Andrea fuochi pescara

Raiano (AQ) il paese delle ciliegie

La coltivazione del ciliegio ha da sempre avuto un ampio sviluppo nel territorio di Raiano. Essendo il primo frutto che matura dopo i rigidi inverni, nella civiltà contadina di Raiano se ne producevano in grande quantità; tutte le famiglie avevano le loro piante e, all’inizio del secolo passato, il raccolto veniva venduto nella Piazza del paese, in un grande e unico mercato. Questa usanza ha dato origine alla “Maggiolata”, un festival di cori abruzzesi, divenuta nel corso degli anni Sagra delle Ciliegie.

La Sagra si rinnova ormai da 55 anni, la seconda domenica di giugno, con una giornata all'insegna della gastronomia ma anche della cultura, con sfilate di carri allegorici e rassegna di costumi tipici.

La ciliegia come regina della giornata che richiama ormai da moltissimi anni un pubblico sempre piu' numeroso, ma anche l'occasione per tramandare valori ed usanze tipiche della Valle Peligna da sempre ricca del delizioso frutto.

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mercoledì 11 agosto 2010

CAPESTRANO E IL SUO GUERRIERO

Il guerriero di capestrano è il simbolo dell'Abruzzo al'estero, forse più conosciuto all'estero che nella stessa Italia. Il mistero, il fascino, l'unicità nel suo genere, rendono questo manufatto di origine preromana oggetto di studi e ricerche.

clip_image002[4]La scultura, risalente alla metà del VI sec. a.C., rappresenta una figura maschile, con braccia ripiegate sul petto, in costume militare; in realtà è una statua funeraria di un principe guerriero, collocata sulla sommità del tumulo di terra posto sopra la tomba. Il ritrovamento fu casuale nel 1934 nel borgo di Capestrano (Aq), durante i lavori di dissodamento di un terreno.clip_image002[8]

La statua, ricavata da un unico blocco di pietra, ha un'imponenza fuori dal comune: è alta due metri oltre al basamento di quasi mezzo metro di altezza e  l'ampiezza delle spalle è di quasi 135 cm. Secondo ipotesi non propriamente ortodosse ma comunque affascinanti il guerriero di capestrano non sarebbe altro che un astronauta, o meglio, la raffigurazione di un astronauta.

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E' un'opera realistica e fantastica nello stesso tempo, così lontana da ogni riduttiva interpretazione estetica. Il copricapo, a forma di disco e dall'incredibile ampiezza, è completato da una calotta semisferica con una cresta innestata che genera una sorta di coda. Gli studiosi non hanno un'opinione condivisa sui lineamenti del volto, semplicemente stilizzati per alcuni, vera maschera protettiva o funeraria per altri.

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Ma chi era veramente il guerriero? Sul pilastro sinistro che regge la statua c'è una scritta, incisa verticalmente su una sola riga, da leggere dal basso verso l'alto, che ha generato dispute su dispute, appianate di recente dallo studio di alcune iscrizioni ritrovate a Penna Sant'Andrea, vicino Teramo. Essa recita: "me bella immagine fece Anini per il re Nevio Pompuledio". Svelando così il nome del guerriero ma anche dell'artista.

La stupenda ed affascinante scultura è esposta nel Museo Archeologico Nazionale d'Abruzzo di Chieti, Villa Comunale. Il Museo è aperto tutto l'anno, dal martedì alla domenica, con orario 9,00/19,00.

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