mercoledì 20 ottobre 2010

La via della lana: Taranta Peligna

Merletti e ricami, arazzi e tappeti. L’arte del tessuto in Abruzzo passa anticamente per le mani operose ed abili delle donne. 

Da Scanno a Pescocostanzo, per passare a Taranta Peligna, Castel di Sangro, Fara San Martino, Lanciano, Bucchianico, Sulmona, Castel del Monte, Pietracamela, Nereto, Penne, e farsi apprezzare anche fuori dei confini regionali. 

coperta 2 La tradizione tessile abruzzese è legata fondamentalmente alla pastorizia che nel passato, durante il periodo della transumanza, - quando cioè avveniva la migrazione stagionale del bestiame dai pascoli di pianura a quelli di montagna e viceversa - obbligava gli uomini a stare per un lungo periodo fuori casa, e così le mogli preparavano tutto ciò che occorreva ai loro mariti, dagli abiti alle coperte di lana. E’ il caso delle famose "tarante", le pesanti e colorate coperte di lana senza "dritto" nè "rovescio", tessute a mano dagli artigiani di Taranta Peligna, paese montano situato a pochi chilometri dalla Grotta del Cavallone nel Parco Nazionale della Majella. Tradizione vuole che l’affermarsi dell’arte della lana nell’epoca medioevale, abbia determinato lo sviluppo di Taranta Peligna, centro situato nei pressi del tratturo Magno, non molto distante dalla Via della Lana che univa, attraverso l’Appennino centrale, le città di Firenze e Napoli. Questo paese sin dal XI secolo si affermò come fiorente centro tessile e commerciale.coperta 3

Infatti, a Taranta Peligna fin dal tardo medioevo si ha notizia della presenza di lanifici, che negli anni 60 del novecento giungevano ad occupare fino a 150 persone, utilizzando la forza dell’Aventino per produrre energia e realizzare le pesanti coperte abruzzesi ornate di frange raffinate lavorate a mano da un altro centinaio di donne nelle proprie case. Storicamente, infatti, la manifattura tessile dei centri montani alle falde sud-orientali della Majella ruotava intorno alla figura dell’impreditore-mercante, che commerciava nelle fiere dell’Italia meridionale panni e filati di lana prodotti negli stabilimenti a Palena, Lama dei Peligni, Taranta Peligna, Fara San Martino e Torricella Peligna, affidando a domicilio la produzione dei semilavorati.coperte
Della remota origine di quest’arte abbiamo testimonianza anche dal culto di San Biagio, protettore dei lanaioli proprio perché martirizzato con l’attrezzo per cardare la lana, a cui era dedicata una chiesa tardo romanica, i cui ruderi si conservano nella parte più antica di Taranta Peligna. Un culto che ha radici secolari e tuttora vivo. Alle falde della Majella, ancora oggi i maestri artigiani della lavorazione della lana sono i principali promotori della festa folcloristica e religiosa in onore del Santo. Santo di area pastorale, S. Biagio sarebbe nato e vissuto in Armenia e non è un caso che anche i pani votivi del 3 febbraio (oltre i disegni e i simboli raffigurati sulle coperte e tovaglie di produzione locale) trovino ispirazione nell’antica civiltà orientale.

Sulla facciata della chiesa si leggono i segni della storia del paese che si riconosce nell’effige del ragno tessitore, la tarantola. E questa è anche la denominazione specifica di alcune particolari stoffe – soprattutto di lana rozza nera – prodotte qui fin dal ‘500 e rinomate in tutto il mondo. Oltre alle “tarante” o “tarantole”, lungo le rive dell’Aventino e del Verde si fabbricavano anche le più pregiate “ferrandine” di lana e seta ed altri filati per tappeti, arazzi e coperte. Qui erano infatti abbondanti le materie prime: la lana innanzitutto, ma anche il legname per attivare le caldaie delle tintorie, l’olio per la precardatura della lana, le erbe tintorie per colorare i tessuti. Ora la produzione, pur ridotta, è comunque attiva e consente di acquistare presso il punto vendita dell’unico stabilimento ancora aperto, gli ultimi pezzi della tradizionale coperta abruzzese, decorata con i tipici colori e disegni di ispirazione arabeggiante o religiosa. coperta 4 Quelle con gli angeli si usavano infatti per ornare le finestre e i balconi abruzzesi al passaggio delle processioni e dunque in omaggio al Santo Protettore che attraversava le strade di paese in spalla ai fedeli. Quelle con motivi floreali o geometrici ricordano gli scambi culturali con le tessitrici di Pescocostanzo, dove nel seicento i turchi esportarono l’arte del tappeto mediorientale. I lanifici, oggi in odore di archeologia industriale, sorgono fuori dall’abitato di Taranta Peligna nei pressi del parco fluviale di dannunziana memoria, le Acque Vive, dove polle sorgive dissetano la ricca vegetazione in un ambiente suggestivo e riposante. L’acqua purissima era peraltro un requisito fondamentale nel processo di colorazione della lana, che doveva bollire a lungo in grandi caldai, insieme al mordente (sostanza che fissa il colore) e alle piante tintorie, spontanee come l’olmo, la reseda, l’orniello, oppure coltivate, come la robbia (nota per il rosso delle radici) e il guado (i cui pigmenti azzurri, presenti nelle foglie, furono utilizzati per colorare le giubbe dei giacobini francesi).

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